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Quegli strani giorni in Cina in attesa del futuro

 

Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio, Image courtesy Ai Weiwei, © Ai Weiwei

Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio, Image courtesy Ai Weiwei, © Ai Weiwei

Alcune settimane fa, al Centro Italiano per la Fotografia di Torino, ho visitato una mostra molto interessante dedicata all’artista cinese al momento più conosciuto e controverso, Ai Weiwei.
Tra le opere esposte e i diversi momenti e luoghi che hanno segnato il suo percorso artistico, c’è la sezione Beijing Photographs 1993-2003 (“Fotografie di Pechino, 1993-2003”)
da cui l’artista stesso ha scelto l’immagine guida dell’intera mostra. E’ una fotografia del 2003 dal titolo The Forbidden City during the SARS Epidemic (“La Città Proibita durante l’epidemia SARS”). Come racconta l’introduzione del Centro: “In questo autoritratto, che somiglia a un selfie ante litteram, Ai Weiwei è solo nella Città Proibita, svuotata dall’epidemia che ha isolato la Cina dal resto del mondo per sei mesi e che ha trasformato in città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine”.

In quel periodo mi trovavo anche io in Cina e vedere quelle foto ha fatto emergere in me molti ricordi e pensieri.
Quando è scoppiato il caso SARS in Cina, erano circa 5/6 mesi che vivevo a Shanghai, grazie a una borsa di studio vinta subito dopo la laurea. In quel periodo non vivevo più nel campus dell’Università dove avevo trascorso i primi mesi, ma mi ero trasferita in un condominio vicino, sempre in periferia, in un tipico comprensorio dove vivono centinaia di famiglie.
Quei luoghi erano la mia quaotidianità.
Certo continuavo a frequentare molti stranieri, occidentali soprattutto, ma nei mesi, avevo trovato anche buoni amici orientali, soprattutto cinesi. E avevo un lavoro: facevo l’interprete per una società italiana.
Shanghai era casa per me: molti erano i luoghi che mi legavano a lei e che tuttora fanno parte di una stramba e personalissima mappa del cuore.
Non erano rari i momenti in cui pensavo che mi sarei potuta fermare lì, portando avanti quella vita che giorno dopo giorno avevo creato, in una città che, nonostante le molte difficoltà, sapeva promettere un futuro.

I miei giorni cinesi - Shanghai

Giro al mercato, Shanghai, Cina

Piano piano però la Sars è entrata in questa quotidianità, minando le certezze costruite in mesi di adattamento. All’inizio le notizie arrivavano solo dall’estero. Erano parenti e amici in Italia, Europa e America a darci notizia di quanto stava accadendo in Cina. Le autorità locali, infatti, per preservare, a loro dire, la sicurezza pubblica, limitarono la diffusione della notizia. Poi, dopo numerose critiche e messi alle strette, si scusarono e cominciarono a fare informazione e a prendere provvedimenti.

Fu un periodo molto strano per noi che vivevamo lì: si propagò un forte senso di insicurezza.
Erano giorni inquieti: io, per esempio, a ogni colpo di tosse mi spaventavo.
In quei mesi poi ammalarsi era facile: il clima rigido, l’assenza di riscaldamento in alcuni luoghi, l’uso dei condizionatori e, last but not least, l’inquinamento non erano sicuramente salutari.
Un nostro amico finì in quarantena di ritorno da una viaggio ad Honk Kong (dove pare fosse iniziata l’epidemia). Per più di un mese fu isolato nel vecchio campus: aveva solo alcune ore d’aria e lo si andava a trovare, stando a debita distanza e indossando guanti e mascherine. Gli portavamo casse di birra cinese, che, insieme alla TV, gli faceva compagnia in quei giorni fuori dal mondo.
Quando la Cina finalmente riconobbe il problema, numerosi furono i provvedimenti presi, più o meno severi. E così, per esempio, al fine di evitare assembramenti e quindi possibili contagi, molti eventi vennero annullati. Tra questi, c’era il primo concerto dei Rolling Stones in Cina. Avevo comprato il biglietto: sarebbe stata un’occasione unica , non solo per la loro notorietà, ma perché per la prima volta avevano accettato di suonare in un Paese che li avrebbe censurati. Alcune canzoni non sarebbero state permesse e, dopo molti rifiuti, avevano comunque accettato il compromesso.
Ma la Sars ha impedito che questo si realizzasse e i Rolling Stones approdarono in Cina solo tre anni dopo, nel 2006 (http://ultimateclassicrock.com/rolling-stones-china/)

shanghai-24

I leoni di pietra: sentinelle all’entrata di palazzi, templi e case. Shanghai, Cina

E così lo stress e l’insicurezza di quei mesi hanno annebbiato il futuro e portato alla decisione di lasciare la Cina prima di quanto comunque previsto.
Difficile dimenticare quei giorni in cui si sapeva che tutto ciò che si era faticosamente creato, non si sarebbe mai più riprodotto. Capita spesso nella vita, ma il più delle volte senza saperlo: salutiamo una persona o andiamo in un locale per l’ultima volta, ma non lo sappiamo. Accade.
In quei giorni, improvvisi e veloci, ne eravamo consapevoli invece.

Il giorno della partenza, all’aeroporto di Shanghai mi misurarono la febbre col laser. Durante il viaggio, pur provenendo dalla Cina, in nessun altro scalo ricevetti attenzioni. Arrivata in Italia, vidi un solo servizio sulla Sars…uno solo. Poi non se ne è più parlato.

E io, quando mi ritrovo a pensare a quei momenti, inevitabilmente mi domando come sarebbe stata la mia vita se avessi continuato a inseguire quel futuro che, per un certo periodo, mi è sembrato così vicino e possibile.

Il progetto Refugee Wallpaper, ovvero 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati

Camera, Centro Italiano per la Fotografia: il progetto Refugee Wallpaper, ovvero 17.000 immagini, testimonianza diretta dell’artista sull’emergergenza rifugiati, in Eurooa e Medio Oriente.

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